Sintesi della SETTIMANA SOCIALE DEI CATTOLICI CALABRESI
di Mons. GianCarlo Maria Bregantini
Una speranza da organizzare
Lo storico e fondato Planctus Calabriae, in questa settimana sociale dei Cattolici calabresi, è stato asciugato coralmente dai tanti delegati di tutte le diocesi della regione, con tanto coraggio ed entusiasmo, con tanta preghiera, molto ascolto ed impegno, attenta preparazione ed intelligente organizzazione del convegno.
1. - La prima immagine che mi piace evidenziare è l’intreccio. Quasi in un antico tappeto, tessuto dalle nostre nonne, ecco che possiamo gioire per l’intreccio che c’è subito stato con questa diocesi che ci ha ospitato, con gentilezza e vera accoglienza di stampo calabrese. Grazie quindi al suo degnissimo Vescovo, mons. Domenico Tarcisio Cortese, grazie a don Piero Furci, alla commissione liturgica diocesana, al coro, ai giovani nella Via Crucis, ai tanti presbiteri, alle parrocchie che ci hanno ospitato.
La bellezza del sole e del clima finalmente mite ha reso i nostri lavori ancora più intensi e belli.
Anche i relatori si sono ben intrecciati tra di loro, in una proposta articolata, ben evidenziata, diversa per stile e linguaggio, ma in tutti un forte appassionato amore alla Calabria e al suo riscatto.
La settimana Sociale, poi, si è ben inserita nel passato dei 4 Convegni della Chiesa Calabrese, che restano sempre più una pietra miliare nel cammino di questo popolo. Grazie a chi ce li ha riletti con chiarezza e precisione.
Ora non si tratta di aggiungere una riflessione ulteriore, ma una metodologia, dei precisi itinerari, che ci permettano di concretizzare quanto è già stato indicato e suggerito nei decenni passati. E qui sta il taglio, tipico della Settimana sociale, un’intuizione ormai centenaria, nata proprio per dare forza all’impegno della fede nella storia della nostra Italia. E ora, per dar forza ai credenti di Calabria che vogliono e sanno che non ci può essere fede senza storia, religiosità senza etica, contemplazione senza azione, sulla scia del resto dei nostri concretissimi ed esemplari santi calabresi.
Grazi poi alla presenza di tutti i Vescovi, pur in tempi diversi; ma hanno significato l’importanza ecclesiale di questo evento, per poi farne proposta pastorale diretta, tramite una riflessione ufficiale che raccolga le intuizioni più decisive per il cammino di tutti noi.
2. – Santa Teresa immagina che il cammino di perfezione sia come mettere ordine e pulizia in una stanza. Maggiore è la luce che godiamo, più chiara sarà la pulizia compiuta. Se avremo la luce del meriggio, la luce meridiana appunto, allora sarà chiaro il nostro cammino.
La Luce è entrata nella nostra terra, in questi giorni, tramite la CROCE di san Damiano. L’abbiamo accolta all’inizio, ci ha accompagnati nella intesa Via Crucis e Via Lucis per le strade della cittadina, ci ha aperto il cuore nella sua contemplazione, perché l’abbiamo sentita come icona delle tante croci che ogni calabrese porta sulle sue spalle, chi con rassegnazione, chi con eroicità.
Ma è anche quella croce che ci aiuta a prendere coscienza del nostro peccato e a saper leggere con chiarezza le nostre mancanze, personali e sociali.
E’ essa la cisterna d’acqua viva, che fonda la nostra speranza vivente. E’ alla sua luce che vediamo la luce, guardando a quel Cristo che, come ci narra la lettera di Pietro (2, 21-25), patì per noi, lasciandoci un esempio, perché ne seguiamo le orme…Egli che portò i nostri peccati sul suo corpo, sul legno della croce, perché non vivendo più per il peccato, vivessimo per la giustizia, dalle sue piaghe siamo stati guariti!”.
E’ quindi alla sua luce, alla luce di quel Cristo che è la nostra speranza, che diventiamo testimoni di corresponsabilità, per servire questa terra su strade di liberazione.
3. – SCRUTARE.
Gli occhi di tutti noi, in questi giorni di benedizione, si sono fatti più chiari, la nostra vista è divenuta più acuta, per cogliere insieme sia le tante risorse che ci sono in Regione che i grandi limiti e peccati ella nostra terra.
Le risorse sono state evidenziate con semplicità nel filmato, piuttosto artigianale ma efficace, che ci ha permesso i seguire i tanti segni di speranza già presenti. Sono segni, nella logica del segno, cioè della primizia, che sa di poter offrire poco. Ma quel poco, nella mani di una comunità e soprattutto nelle mani del Cristo, si moltiplica e ridona vita nuova. No quindi alla logica del tutto subito o del “finchè non ho i soldi, non inizio…!”. SI, invece all’impegno progressivo, a valorizzare quel poco già presente, a saper iniziare anche senza soldi, ma con tanto entusiasmo e tante motivazioni, sostenuti dal Vangelo.
La fragilità della nostra terra è stata pure evidenziata, con chiarezza e lucidità. Questa parola, fragilità, che segna il convegno di Verona, per farne un forte richiamo alla tenerezza che deve rivestire tutto il nostro cammino di credenti.
Così è per la nostra terra. Una fragilità che si chiama marginalità, da riconoscere, da studiare per bene nelle sua cause complesse, senza pudori ma anche senza vergogna. Più studieremo e faremo studiare il nostro passato, non solo scopriremo tante cause che ci impediscono di crescere, ma seguiremo anche tanti nostri itinerari passati, che hanno permesso di far bella e grande la nostra regione. Lo studio del passato è il solo grande mezzo per scrutare. Perché solo così sapremo poi interpretare e rispondere.
Ma è soprattutto la chiarezza che i nostri occhi hanno avuto nei confronti della mafia e della ‘ndrangheta che ci ha permesso di leggerla come una terribile struttura di peccato, che non va mai nascosta né tanto meno mitizzata, ma va ben conosciuta e soprattutto affrontata con intelligenza e saggezza.
Le strutture di peccato, infatti, ben conosciute, ben studiate, richiedono a noi una strategia spirituale e pastorale appropriata. Si va oltre la responsabilità personale, si entra in una dimensione etica d’insieme, che richiede da noi tutti un attivo e metodico discernimento comunitario.
Il peccato sociale, infatti, spesso oscura la nostra consapevolezza e quindi impedisce la nostra corresponsabilità attiva. Per questo, se è vero tutto questo, anche la nostra risposta pastorale deve essere adeguata e incisiva, oltre che intelligente ed organizzata.
Senza uno scrutare efficace non si procede. Ma uno scrutare che sia a duplice livello: personale nella preghiera e nella meditazione, specie dei presbiteri, religiose e dei laici impegnati, e comunitario nei Consigli pastorali parrocchiali e nei circoli ed associazioni laicali. Ecco perchè ogni tessuto sociale va sempre più incoraggiato e sostenuto. Ma anche guidato ed accompagnato, con fedeltà e tenacia.
Un ruolo maggiore lo devono avere le Scuole, sentinelle nella coscientizzazione. E credo che tutta la chiesa calabrese deve riscoprire la preziosità degli istituti scolastici e delle Università sul proprio territorio. E’ lì che tale scrutatio si compie, nella forza di ideali limpidi e puliti, ma anche dentro situazioni di dolore e di fatica. Perché non accompagnare ogni istituto scolastico superiore da un prete, che ne sia quasi cappellano scolastico, cioè un prete che segue accompagna, aiuta, discerne, sta con i giovani, li ascolta con affetto e tenerezza?
4. - INTERPRETARE
E’ il momento più delicato, che ci ha visti tutti compartecipi in questa settimana sociale, fatto di preghiera, riflessione, condivisione delle sofferenze (specie dei testimoni di giustizia!).
Sono stati indicati anche dei preziosi CRITERI DI INTERPRETAZIONE, che vanno ora approfonditi e soprattutto meglio attuati.
Per parte mia, in queste mia conclusioni che hanno tutto il sapore dell’immediatezza, ne ho raccolto cinque, che vi propongo come metodologia di fondo.
a) Trasormare le nostre ferite di dolore in feritoie di speranza.
Cioè tutto il male che ogni giorno la Calabria affronta, che ciascuno di noi incontra può essere visto come una spina nel fianco, per farci divenire forti nella debolezza. Guai se partiamo sconfitti. E’ decisivo invece saper guardare ad ogni avvenimento, ad ogni situazione come una pietra. Una pietra che, come ci ammonisce san Pietro, può essere o pietra di inciampo oppure pietra angolare. Dipende da noi, dal nostro modo di vedere i fatti, dalla nostra fede, dalla nostra speranza che può trasformare anche l’acqua di Cana in vino di gioia e di festa. Non che cerchiamo il male, ma nemmeno ne restiamo sconfitti prima di affrontarlo. Anzi, la sfida della mafia può risultare una sfida a un eroismo evangelico che cambia la nostra vita di cristiani e ci rende tutti testimoni di luce e di coraggio. Dipende da noi. Come un parroco mandato a vivere in una paese difficile, può adeguarsi come don Abbondio, altri potranno essere, di fronte al male, come fra Cristoforo che affronta don Rodrigo. Così è per i laici. Tutti chiamati ad una vita eroica, in terra di Calabria proprio perchè tutti sfidati dal male che ci circonda. Ed allora, nascerà una nuova chiesa, capace di testimoni e di martiri, proprio perché ha saputo trasformare le pietre da sasso di inciampo a pietra d’angolo.
Non solo. Ma anche i piccoli, i poveri, i peccatori, gli ultimi, i fragili diventano pietre d’angolo e non materiale di scarto; risorsa e non zavorra; gradino per salire e non rifiuti da abbandonare, come spesso vediamo nelle trasmissioni televisive.
La fragilità si fa allora tenerezza. Tutto è trasformato, tutto valorizzato. Niente vien gettato via, niente vale di meno. Anzi, nella vita, ciò che spesso crediamo da gettare diviene invece la perla preziosa e vitale.
b) Un altro prezioso criterio per interpretare, ci è stato ribadito con toni appassionati da tutti i relatori e dalle varie testimonianze. E’ l’amore a questa terra, conosciuta nella sua storia originale, apprezzata per la sua tipicità, stimata per i suoi luoghi. Quei luoghi che ci parlano nella loro sacralità, nella loro bellezza ed insieme per i tanti drammi che contengono. Ci chiedono di essere conosciuti, amati, vigilati, custoditi.
L’amore non si inventa. Lo si impara, soprattutto dalla mamma, dalla maestra e dalla catechista. Cioè, nella famiglia, nella scuola e nella parrocchia. Nei loghi di vita. Perché se c’è questo amore, tutto cambia. La tua terra avrà uno sposo!- ci dice il profeta e poeta Isaia!
Ma la Calabria ha troppi amanti e pochi sposi.
A noi tocca essere, proprio perché credenti, questi sposi, che la sanno amare, sempre, anche nei giorni dell’infedeltà e del tradimento, imparando questo amore dall’Eucarestia, che è stata donata a noi proprio nella notte in cui il Cristo fu tradito!
c) Questo amore alla terra di Calabria, così com’è, ci porta ad interpretare i luoghi con criteri diversi. Non sono solo i paesi di marina che ci interessano per primi, ma soprattutto i paesi interni, quelli di montagna e collina, quelli più dimenticati ed anche tragicamente abbandonati. E questo abbandono diminuirà, solo quando guarderemo coloro che scelgono di restare nei luoghi del nostro passato, per vocazione e non perché costretti. Cioè quando li considereremo custodi del territorio, cui esser grati e riconoscenti. Cioè amici della terra, custodi del passato, generatori di speranza nell’attimo stesso che sanno conservare i luoghi della tradizione.
E’ il cuore del messaggio della CEI, del 19 marzo 2005: Frutto della terra e del lavoro dell’uomo. Mondo rurale che cambia e chiesa in Italia.
L’Homo civicus ha qui la sua fondazione. In questo approccio ad una povertà condivisa, per una cittadinanza che vince sia le insidie sia del totalitarismo che del mercato, per una cittadinanza attiva, fatta di stima per tutto quello che è meridiano, solare, quel pensiero meridiano che ci pone al centro del mediterraneo e che, a sua volta, pone al centro la montagna (Se il bosco è verde, il mare è blu!”).
Da qui, il gusto delle virtù aristocratiche, cioè della società civile, che fonda a sua volta la politica e i partiti, che con essa dovranno confrontarsi e relazionarsi, costantemente.
Anche la festa, rientra in quest’ottica di società civile, spazio di virtù socializzanti. Ma una festa che va costantemente vigilata, purificata, per togliere quelle tendenze alla privatizzazione che sempre emergono e la negano sul piano stesso della vera gioia, che è fatta sempre di condivisione fraterna e mai di uso privatistico dell’evento.
d) un altro criterio, collegato, che emerge da questa settimana sociale e che viene indicato alle nostre comunità cristiane è la normalità dell’eroismo nell’impegno sociale e politico. Chi ha questa vocazione deve metter in conto, fin dall’inizio, la necessità di lottare controcorrente, di scegliere la via dei Magi, cioè ritornare per una via diversa da quella di Erode, via imparata dall’incontro con un Re che non è il re della potenza, ma dell’umiltà fatta bambino fragile ed umile, povero e dimenticato. I Magi diventano così l’icona di ogni militane, di ogni giovane, di ogni religioso: “poiché ho incontrato il vero volto del Cristo, nella sua povertà so sfidare anche la insidia di Erode, non seguo strade di poter ma di servizio, non di collocazione nelle liste, ma di correlazione fedele con il territorio”. Per questo, ci poniamo fin da questo momento il desiderio di rivedere l’attuale legge elettorale, perché spacca il legame con il territorio. Il politico, d’ora in poi, sarà sempre più invitato a guardare soprattutto ai palazzi romani e non alle realtà locali della propria terra, cercherà il placet in alto e non il legame con la gente, dimenticandone i drammi e le angosce. Più spinto al consenso che all’eroismo.
Perciò, è ancora più importante mantenere e custodire in termini di qualità le nostre scuole di formazione all’impegno politico, che abbiamo nelle diocesi, motivandole su criteri evangelici decisivi ed insieme capaci i leggere con chiarezza il proprio territori e le ansi della gente che vive in esso.
e) infine, n criterio importante e decisivo è, a mio giudizio, quello di constatare che la voce della Chiesa ha poco ascolto in alto, nelle sedi decisionali. O meglio, la chiesa calabrese è lodata e stimata. A parole, è dichiarata un punto sicuro di riferimento. Ma poi, tal voce non entra nelle sedi decisionali, non trova eco là dove si compiono le grandi scelte per il futuro ella nostra terra. Anche in questa settimana sociale, pochi sono stati i politici che hanno avuto il gusto e la franchezza di un confronto serio e documentato. Questo ovviamente, non lo diciamo per ombrosità, ma perché vediamo in esso una verifica del vero agire secondo il Vangelo. Se saremo chiari, avremo di certo meno discepoli per numero, ma più intensi per qualità. I potenti ci loderanno, ma poi comprenderanno che non siamo alla loro parte, ma dalla parte della gente che non ha potere, cioè dalla parte degli umili e dei poveri. Veramente. E saranno loro, i poveri, se saremo coerenti fino in fondo, senza vederci per un piatto i lenticchie, a darci il premio, nella logica evangelica.
5. - RISPONDERE
La risposta nella settimana sociale è per sua natura non imposta ma proposta. Ma con risposte vere, perché maturate insieme, lungo questo reale esercizio di discernimento comunitario, che speriamo si estenda a tutte le parrocchie ed associazioni.
Già i gruppi i studio, i laboratori, hanno indicato una serie di risposte precise.
Ora, per parte mia, mi pare opportuno raccogliere queste indicazioni importanti.
1. - Avere il coraggio di una purificazione leale ed onesta, che assuma ed evidenzi tutte le nostre responsabilità di chiesa nel degrado etico di questa terra bellissima, a noi affidata alle nostre mani, per vedere e riconoscere tutte quelle volte che abbiamo violato quel giardino che Dio ci ha dato di custodire per la crescita di tutti.
Tale riconoscimento delle nostre colpe sarà tanto più lucido quanto più intenso sarà il confronto con i santi della nostra terra di Calabria. Anzi, proprio quel confronto, sollecitato anche dal 500 anniversario della morte di san Francesco da Paola, è stato più volte indicato come la risposta più diretta e popolare per la nostra gente, perché non si limiti alla devozione emotiva, ma imposti la sua fede in una imitazione del loro eroismo, verso scelte di purificazione seria, seguendone le orme, spesso insanguinate.
La coscienza del peccato sociale, delle strutture di peccato che infangano la nostra regione non è un fatto scontato od ovvio. Tale coscientizzazione è legata alla quantità di luce che lasceremo entrare nel nostro cuore e nelle nostre strutture sociali. Qui, l’impegno per i vescovi e sacerdoti a illuminare, chiarire, parlando con chiarezza evangelica anche nel segno della denuncia, per far comprendere i nostri peccati sociali, come gli incendi dei boschi, il mancato pagamento delle tasse, l’utilizzo ingiusto ed improprio delle pensioni, i contriti versati dentro attività lavorative non vere, case mai finite fuori e troppo curate dentro. E tanti altri esempi, che ci inchiodano nelle nostre comuni responsabilità.
Un segno vasto da diffondere, ricuperando la genuinità delle nostre tradizioni, è la riscoperta della pratica del digiuno, come momento penitenziale, di vasta coscientizzazione popolare.
2. - Tale lavoro di purificazione va collegato sempre ad un serio e metodico lavoro di FORMAZIONE, alla luce del Cristo Risorto. Già nell’Istrumentum laboris abbiamo indicato precise scelte, che sgorgano alla luce del Signore Gesù, amato, gustato e testimoniato. Rimaniamo ad esso, nelle pagine 29-35.
Le ricordiamo brevemente, per mettere al centro la Parola di Dio (letta, gustata, meditata e ruminata, come facevano i santi monaci), la catechesi in stile catecumenale che coinvolge come testimoni la famiglia, l’eroismo nella vita religiosa, la scelta forte piena nei seminari, la sobrietà di vita in tutti, il primato della contemplazione, la corresponsabilità nelle associazioni laicali.
3. - In questa dimensione di purificazione e formazione, va molto curata la conversione culturale, che soggiace a tutte le relazioni e testimonianze di questa Settimana. Cioè la necessità di valorizzare fino in fondo, in tutti i suoi aspetti, il principio di sussidiarietà, che ci permette di dire un no secco e chiaro alle tante forme di assistenzialismo che abbiamo creato nei nostri paesi, forme che ci stanno inchiodando e legando, come la fitta trama di una ragnatela che ci impedisce tutti di pensare in termini di speranza e di agire in passi di progettualità.
Da qui, in paticolare, l’appello ad un uso intelligente e produttivo della immensa risorsa della forestazione, perchè tutto il territorio del comune sia affidato a questi operai, entri la logica dei progetti, si sentano custodi attivi di un territorio amato,
4. – In particolare, i laici diventano di fatto i protagonisti di questa settimana.
Sono loro e lo siano sempre più coloro che sentono la vocazione della trasformazione del mondo, a loro affidato, alle loro mani operose e amanti.
Certo, qui si gioca il futuro delle nostre chiese. Con laici ben preparati e eroici, potremo render credibile la nostra speranza.
Laici però accompagnati da presbiteri e sostenuti alla testimonianza e religiosi, in un unico intento di crescita e di amore, con la luce del Cristo Risorto.
In questo senso, è stato preziosa l’esperienza di unità e comunione sperimentata in questa settimana. Continui, anche nelle nostre parrocchie. Il nemico comune è troppo forte e agguerrito, per poterlo affrontare isolati o frammentati. Solo insieme, compatti pur se differenziati, potremo sconfiggere la mafia, la rassegnazione, il vittimismo, la sfiducia, la rassegnazione, tutti ostacoli alla speranza.
Inoltre, alla compattezza, si aggiunga la forza dell’intelligenza, che sa scrutare, capire, avere obiettivi chiari, seguire, accompagnare. Non dobbiamo essere ingenui, ma scaltri, come ci esorta il vangelo. Anche nei confronti della politica. . - Ed infine, le nostre risposte siano sempre nella logica del sogno, grande e comune, ben motivato nel vangelo e del segno, attivo, piccolo nella logica del lievito.